“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste”. Ricordate il celebre film I soliti sospetti? Kevin Spacey, truffatore da quattro soldi, un po’ stupido e per giunta zoppo, viene interrogato da un poliziotto che indaga su un boss criminale di nome Keyser Soze e tutto il film scorre seguendo la narrazione degli eventi fornita da Spacey. Solamente negli ultimi minuti del film assumiamo – in maniera repentina e contemporaneamente al poliziotto – un nuovo punto di vista, che ribalta completamente la percezione avuta fino a quel momento.
Così, quando il poliziotto intuisce che il protagonista ha inventato tutta la storia usando come spunto le scritte sui foglietti della bacheca del commissariato, non possiamo fare a meno di sentirci spiazzati, imbrogliati noi stessi e guardando Kevin Spacey alias “Keyser Soze” che si allontana zoppicando dal commissariato e che, a poco a poco, comincia a camminare normalmente, ci rendiamo conto di essere stati tratti in inganno dall’unico punto di vista assunto fino a quel momento, proprio come il poliziotto.
Paul Watzlawick afferma: “La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni”.
Può apparire sorprendente a un primo impatto, perché ognuno di noi è abituato a vedere solo quella che considera “la propria realtà”, ossia quella che osserva dal proprio punto di vista e che si limita ad un’unica interpretazione, solitamente quella che considera come la più ragionevole o come la più usuale. In realtà – e scusate il gioco di parole! – non abbiamo mai a che fare con la realtà, ma sempre con immagini della realtà, dunque con delle interpretazioni di essa, che costruiamo a partire dal punto di vista che assumiamo per guardarla.
Il Professor Keating, impersonato da Robin Williams ne L’attimo fuggente, salendo in piedi sulla cattedra, incoraggia i suoi allievi a fare lo stesso dicendo loro che è proprio quando si crede di sapere qualcosa che la si deve guardare da un’altra prospettiva. Ed è qui che entra in gioco la ristrutturazione.
Negli anni ’70 Paul Watzlawick definisce il ristrutturare come il cambiare lo sfondo o la visione concettuale/emozionale in relazione a cui è esperita una situazione, ponendola entro un’altra cornice che ben si adatta, se non meglio, ai fatti della situazione stessa, cambiandone completamente il significato. In altre parole, ristrutturare significa ricodificare le immagini e le percezioni della realtà del paziente in tanti modi diversi, guidandolo a cambiare il suo punto di vista della realtà vissuta come problematica e facendogli esperire sensazioni e percezioni differenti rispetto a quella realtà.
La ristrutturazione non cambia i fatti concreti, ma il significato che la persona attribuisce a quei fatti. Ciò lo condurrà a reagire differentemente a essi e, quindi, all’inevitabile cambiamento. Ma dobbiamo tornare ancora indietro nel tempo – e precisamente nell’antica Grecia – per ritrovare nella dottrina dell’antitesi, sviluppata da un sofista di nome Protagora, l’antesignana della tecnica della ristrutturazione. E’ stato Protagora, infatti, a mostrare che lo stesso argomento, affrontato da punti di vista differenti, può condurre a risultati diversi.
Tornando ai giorni nostri, è esperienza comune durante la visione di numerosi film, sperimentare che – a seconda del punto di vista assunto – si finisca per scoprire realtà completamente diverse da quelle che si credeva di conoscere. Pensiamo ai thriller soprannaturali Il sesto senso e The Others. Nel primo, solamente alla fine scopriamo che Bruce Willis – che interpreta il neuropsichiatra infantile desideroso di aiutare il piccolo protagonista – è in realtà uno dei morti che il bambino vede intorno a sé. Nel secondo, allo stesso modo, per tutta la durata del film crediamo che Nicole Kidman e i suoi figli vivano in una casa infestata dai fantasmi, per accorgerci solo alla fine che in realtà i fantasmi sono sempre stati loro.
E quando, sul finale, vediamo “la nuova realtà” delle storie narrate, non possiamo più considerare “vera” quella che abbiamo percepito fino a quel momento. Nelle commedie rosa americane assistiamo ad un altro esempio di ristrutturazione: quella per cui il brutto anatroccolo diventa cigno, ovvero si nasce nerd e si muore Angelina Jolie. Un esempio di come diventare una femme fatale partendo da basi estetiche discutibili, ce lo fornisce Anne Hathaway ne Il diavolo veste Prada. La protagonista, cambiando taglio di capelli, perdendo un paio di chili, sostituendo il maglione infeltrito con un fantastico completo di Chanel e, infine, lasciando gli scarponi per un paio di Louboutin, ci mostra che ristrutturare la propria immagine sia un gioco da ragazzi.
Ok, dovremmo far notare agli sceneggiatori che imbruttire una donna bella in partenza è decisamente più facile che trasformare una comune mortale in una dea. Purtroppo nel mondo “reale” se non lavo i capelli restano sporchi, se non metto il correttore si vedono le occhiaie e soprattutto se non faccio un po’ di sport difficilmente resterò in forma. Ma noi donne vogliamo crederci lo stesso e infatti desideriamo tutte un paio di Louboutin!
La ristrutturazione passa anche attraverso il linguaggio, la scelta delle parole che sono veicolo di cambiamento. J. L. Austin ci ha insegnato che “dire qualcosa è fare qualcosa”, dunque le parole generano degli effetti direttamente nel mondo materiale e delle relazioni umane. Pensiamo alla battuta di Liz Taylor nel film Assassinio allo specchio: “Cara, sembri una torta di compleanno! Peccato che tutti se ne siano già presi una fetta!”. Ancora, Woody Allen è un vero maestro nel fornire ristrutturazioni ironiche, e talvolta sarcastiche, delle relazioni attraverso il linguaggio. In Io e Annie afferma: “Una relazione è come uno squalo. Cioè deve costantemente muoversi oppure muore. E io penso che quello che abbiamo nelle nostre mani sia uno squalo morto”. E ancora: “Mia moglie e io siamo stati felici per vent’anni. Poi ci siamo conosciuti”.
In Terapia Breve Strategica utilizziamo la tecnica della ristrutturazione tutte le volte in cui, senza negare la percezione del paziente, vogliamo guidarlo a indossare nuove lenti per guardare la sua realtà e a reagire ad essa in modo più funzionale. Come ci ricorda Giorgio Nardone, questo è l’atteggiamento strategico nei confronti dei problemi umani. La ristrutturazione è una tecnica terapeutica che utilizza il fatto che tutte le regole, tutte le realtà di secondo ordine, sono relative, che la vita è ciò che si dice che sia. Noi possiamo, nella migliore delle ipotesi, solo adattarci nel modo più funzionale a ciò che percepiamo.
Tutto questo è perfettamente riassunto nella lettera che, in un letto di ospedale e in punto di morte, Cate Blanchett si sente augurare dall’amore della sua vita, morto prima di lei ne Il curioso caso di Benjamin Button:
“Per quello che vale non è mai troppo tardi, o nel mio caso troppo presto, per essere quello che vuoi essere. Non c’è limite di tempo, comincia quando vuoi. Puoi cambiare o rimanere come sei, non c’è una regola in questo, possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio. Spero che tu viva tutto al meglio. Spero che tu possa vedere cose sorprendenti, spero che tu possa avere emozioni sempre nuove, spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi. Spero che tu possa essere orgogliosa della tua vita e, se ti accorgi di non esserlo, spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero”.
Dott.ssa Francesca Moroni (Psicoterapeuta Ufficiale del Centro di Terapia Strategica)
Bibliografia
Gallo G. (2014), L’amore non è un film, Imprimatur editore
Nardone G. (1991), Suggestione, ristrutturazione, cambiamento, Giuffré Editore, Milano
Watzlawick P, Beavin J. H., Jackson D. D. (1971), Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma
Watzlawick P. (1980), Il linguaggio del cambiamento, Feltrinelli, Milano